Santa Margherita chiude il 2022 con risultati solidi: le vendite sono cresciute del 18% (17% escludendo l’apporto dell’acquisizione in Oregon) a 260 milioni e seppur i margini percentuali si sono leggermente ridotti, la base di confronto del 2021 era particolarmente difficile. L’EBITDA è cresciuto del 14% (13% a parità di perimetro) e l’utile netto del 12% a 47 milioni dopo aver spesato 5 milioni di oneri non ricorrenti derivanti dalla svalutazione dei di alcuni marchi del Gruppo (8 milioni). Da segnalare che l’azienda ha anche chiuso un accordo con le autorità fiscali per la definizione del prezzo di trasferimento dei prodotti in USA (si chiama B.A.P.A., Bilateral Advance Price Agreement) nell’ambito del quale sono state anche ridefinite le risultanze degli scorsi anni (2016-2020) con un aggravio fiscale per la parte italiana e un credito di imposta per quella americana (a significare che i prezzi di trasferimento degli scorsi anni sono stati rivisti al rialzo, implicando più utili alla capogruppo in Italia e meno per l’importatore americano). La solidità di questo bilancio si vede anche dall’ulteriore miglioramento dei parametri finanziari. Dopo aver pagato dividendi di circa 25 milioni, il debito scende comunque di 8 milioni a 118, per un rapporto sull’EBITDA di 1.3 volte da 1.6 dello scorso anno. Poco si dice del 2023, salvo che l’anno è partito con un calo delle vendite, che però ricorre in un periodo poco significativo dell’esercizio. Passiamo a un breve commento dei dati.
Quando un’azienda che ha una delle sue divisioni (qui parliamo di quella del vino di Constellation Brands) che perde circa il 10% di vendite e il 10-15% degli utili e nel commento si legge soltanto “I marchi di vino di fascia alta di Constellation hanno guadagnato quote di mercato e sono cresciuti più del segmento corrispondente nelle vendite in dollari”, oppure “Il portafoglio di liquori di Constellation ha registrato una crescita nei canali Circana, con una forte crescita dei marchi di tequila e cocktail pronti da bere di fascia alta., beh allora c’è qualcosa che non va nella comunicazione e anche nella gestione della divisione. Così è stato il primo trimestre di CB nel vino, con vendite al consumatore finale calate del 6% (quindi con -10% delle vendite c’è stato un po’ di “destocking”). Ma questo è ormai un granello nel mare del business dell’azienda, sempre più focalizzata sulla birra e su Canopy (la mariuana legale). Anzi direi sulle sue perdite. A livello consolidato, infatti, vino e birra insieme fanno +6% di vendite e -5% di utile operativo. Quando poi “sotto” entrano le perdite di Canopy il risultato netto passa da 390 a 136 milioni di dollari. Nel trimestre CBrands ha comunque confermato le indicazioni rilasciate in maggio, sia a livello consolidato che per la divisione vino, dove prevede per il 2023 una variazione delle vendite nette organiche tra -0,5% e +0,5% e una crescita del reddito operativo tra il 2% e il 4%. Passiamo al resto del post per un commento più dettagliato.
Nel 2022 Frescobaldi ha toccato quota 155 milioni di euro di fatturato (+19%) ma ha soprattutto raggiunto i margini più alti della sua storia con un rapporto EBITDA su fatturato del 40% e utile operativo su fatturato del 30%. Il ciclo di investimenti è ripreso dopo lo stop del Covid, con ben 27 milioni di investimenti (17% delle vendite) e qualche acquisizione “di contorno”, ma ciò non ha impedito di migliorare ulteriormente la posizione finanziaria, che a fine 2022 raggiunge una cassa netta di 37 milioni di euro. In particolare, Frescobaldi ha investito circa 10 milioni di euro per espandere la superficie vitata. Le previsioni contenute nel bilancio per il 2023 sono molto succinte, ma contengono comunque un messaggio positivo (“Nonostante l’incertezza presente e futura sull’evoluzione del contesto economico globale, per il momento l’attività del Gruppo prosegue senza particolari problemi da segnalare”). Nel 2023 vedremo l’impatto dell’acquisizione della Tenuta Calimaia nel territorio di Montepulciano, con 70 ettari di vite, di cui non si conosce ancora il prezzo (lo sapremo tra un anno…). Passiamo all’analisi dei dati.
Non arrivano buone notizie dai dati di fine marzo 2023 di Andrew Peller, l’azienda vinicola canadese quotata che opera attraverso numerosi marchi, conosciuti soprattutto localmente (Peller Estates, Trius, Thirty Bench, Wayne Gretzky, Sandhill, Red Rooster, Black Hills Estate Winery, Tinhorn Creek Vineyards, Gray Monk Estate Winery, Raven Conspiracy, and Conviction). La combinazione di aumenti dei costi sia del vino sfuso che delle materie secche per via dell’inflazione, la scarsa esposizione ai mercati internazionali e l’incremento degli oneri finanziari portato dall’aumento dei tassi hanno determinato una ulteriore pressione sui conti, tanto da portare l’azienda in leggera perdita a fine anno. Il tutto considerano un sostanzioso contributo governativo (circa 10 milioni registrati, di cui 8 incassati) per lo smaltimento delle scorte. La generazione di cassa è stata inoltre negativa, con un debito salito da 191 a 208 milioni di dollari canadesi, dopo la distribuzione di 10 milioni di dividendo ma anche l’incasso di quasi 8 milioni di sussidi per il settore da parte del governo locale. Il grafico del prezzo di borsa è lo specchio della situazione: in costante discesa da mesi, tanto che oggi l’azienda capitalizza meno di 200 milioni di dollari canadesi, meno della metà di un anno fa. Passiamo a un breve commento dei dati.
Le vendite sono leggermente cresciute nell’esercizio chiuso a marzo 2023, +2.2% a 382 milioni di dollari. Il dato riflette un incremento (non dettagliato) delle vendite nei ristoranti e delle vendite dirette e un calo delle vendite della distribuzione e dei servizi di “vinificazione personale” che l’azienda offre. Inoltre, i rilevanti incrementi dei prezzi messi in atto hanno supportato il fatturato, quindi probabilmente implicando un calo dei volumi venduti.
I margini hanno tenuto a livello industriale (37% “gross margin” dopo il costo di produzione), ma ciò è grazie ai contributi ricevuti dal governo canadese. Altrimenti sarebbero calati ulteriormente intorno al 34-35%, ben lontano dal 43% registrato pre-pandemia. Il margine operativo è dunque calato poco sotto il 10% a 38 milioni e con oneri finanziari in crescita si arriva a un dato finale di una perdita di 3.4 milioni, che sarebbe stata molto peggio senza i contributi governativi.
Passando alla parte finanziaria, il debito finanziario sale a 208 milioni come dicevamo sopra, che corrisponde a un rapporto di 3.4 volte l’EBITDA, rispetto a 3.2 dello scorso anno. Di nuovo, se togliamo i contributi governativi saliamo leggermente sopra 4x.
Le attese per il futuro sono vaghe, anche se qualche raggio di sole sempre spuntare tra le nuvole. Così il commento del management “La nostra catena di approvvigionamento si è normalizzata e sebbene stiamo ancora subendo l’impatto dell’inflazione, i nostri costi dei componenti hanno iniziato a diminuire e ci aspettiamo che questa tendenza continui. Guardando al futuro, prevediamo un ritorno a livelli di redditività più normali nei prossimi anni in quanto le nostre strategie volte a incrementare le vendite di prodotti a margine più elevato, introdurre nuovi prodotti ed estendere le linee di prodotti esistenti, sfruttare la forza della nostra membership nazionale al wine club e concentrarci su iniziative di riduzione dei costi e miglioramento della redditività hanno effetto” [traduzione ChatGPT].
Il 2022 è l’anno di ritorno alla normalità per Guido Berlucchi, dopo che il 2020 e il 2021 sono stati fortemente impattati dal Covid e dall’impatto sui costi della commercializzazione delle annate 2017-18, fortemente influenzate dalle gelate. Il fatturato in realtà non ha mai dato segni di debolezza, anche durante l’anno del Covid, probabilmente per via della forte esposizione al canale GDO del gruppo. Ad ogni modo, nel 2022 le vendite sono salite del 4% a 52 milioni (dato relativo alla capogruppo, come tutti gli altri, considerando che il consolidamento delle 3 attività vinicole rimanenti incrementerebbe il fatturato di circa 4 milioni di euro, al netto delle elisioni del bilancio consolidato – che l’azienda non redige). Come dicevo sopra sono però i margini la buona notizia del 2022, nonostante i forti aumenti dei costi: a livello EBITDA si torna al 19%, cioè dove l’azienda stava nel periodo pre-Covid (nonostante i costi esterni siano ancora molto superiori) mentre l’utile netto sale a 6 milioni, anche lui non nell’intorno delle medie pre-Covid. Il debito dell’azienda nel 2022 è sceso di altri 5 milioni di euro a 32 milioni di euro, seguendo un percorso di miglioramento che dura da quando gli azionisti hanno deciso di “re-indebitare” l’azienda. Secondo gli amministratori i risultati 2022 sono in linea con il piano industriale approvato nel 2018 che prevedeva per l’anno 5.4 milioni di utile netto (5.8 realizzati), 10.2 milioni di EBITDA (9.8 realizzati) e 17 milioni di indebitamento (senza il prestito obbligazionario…) rispetto al risultato di 10.7 realizzato. Poco si dice sul 2023, salvo che per far fronte all’aumento dei costi energetici viene ampliato l’impianto fotovoltaico. Passiamo all’analisi dei dati.
Questo blog non rappresenta una testata giornalistica in quanto viene aggiornato senza alcuna periodicità. Non può pertanto considerarsi un prodotto editoriale. Le immagini inserite in questo blog sono tratte in massima parte da Internet; qualora la loro pubblicazione violasse eventuali diritti d'autore, vogliate comunicarlo a mbaccaglio@gmail.com, saranno subito rimosse.