Australia/NZ


Delegat’s – risultati 2014

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Per quanto mi renda conto dalle statistiche del blog che a pochi importa di questa azienda neozelandese che produce l’Oyster Bay, famoso Sauvignon (ma non solo) locale, io continuo a seguirla perché ha una strategia pluriennale di crescita sia organica che per acquisizioni nel mondo del vino. E’ un po’ come Advini, ma a differenza di Advini ha risultati chiaramente migliori. Nell’ultimo anno è stata un po’ penalizzata dai cambi, che hanno messo pressione al prezzo medio per cassa venduta, ma continua a crescere, ha fatto una importante acquisizione in Australia e ha reso pubblico i suoi obiettivi di medio termine, che prevedono di far crescere il fatturato dagli attuali 223 milioni di dollari (locali) a 380 milioni nei prossimi 5 anni (giugno 2019). Che dire, speriamo di essere qui per testimoniarlo!

E la Borsa li ha premiati. La capitalizzazione di mercato è salita del 20% rispetto allo scorso anno e ora viaggia sui 460 milioni di dollari australiani (circa 360 americani), circa 10 volte il MOL di giugno 2014 e 12 volte l’utile operativo rettificato storico. Passiamo ai numeri.

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La tassazione del vino e delle bevande alcoliche nel mondo – working paper AAWE

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La tassazione applicata alle bevande alcoliche è da sempre fonte di discussione. Da un lato, l’alcol deve essere tassato in quanto determina costi sociali (peggiora la salute delle persone, o comunque in qualunque quantità e modalità sia assunto non la migliora!). Dall’altro, esistono differenti tipi di bevande alcoliche, quelle con alto contenuto alcolico “per processo produttivo intrinseco” direi, quelle con alto contenuto alcolico perchè aggiunto (come i vermouth, i liquori o gli aperitivi classici) e poi c’è il vino e la birra, dove il contenuto alcolico è moderato e naturale. Il fisco ha tipicamente affrontato l’argomento con una tassazione basata sull’alcol, quindi incidendo di più sui costi al litro delle bevande superalcoliche e di quelle con un basso prezzo, oltre alla tipica tassazione del consumo (IVA in Italia). Lo studio di AAWE che presentiamo oggi fa una carrellata delle diverse situazioni nazionali, certamente con degli errori (le accise sull’alcol in Italia sono state appena introdotte anche per il vino, ma qui non sono rilevate) ed è interessante rilevare i diversi approcci: i grandi produttori di vino tassano poco il vino (Francia, Italia e via dicendo), ad eccezione dell’Australia. I paesi nordici fanno il contrario, con una tassazione che però penalizza i vini di scarsa qualità. In generale, possiamo dire che tra il 2012 e il 2014 la tassazione media si è alzata per tutte le categorie di bevande alcoliche: i vini di bassa qualità e i superalcolici sembrano essere i più colpiti: la media tassazione del vino in questi paesi è del 42%, il 64% del valore pretasse per i vini comuni e il 27% per il vino superpremium. Buona lettura.

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Australia – produzione di vino 2014

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Il rapporto WFA sulla produzione di vino in Australia per il 2014 è molto di più di una tabella con dei numeri. Contiene dei dati molto interessanti sulla profittabilità del settore in Australia e sulla situazione degli stock. Ebbene, in Australia si producono 12 milioni di ettolitri di vino (in leggero calo sul 2013) ma si calcola che dato il basso prezzo delle uve circa l’84% della produzione sia effettuato in perdita, e soltanto il 7% della produzione australiana (meno di 1 milione di ettolitri) sia profittevole. Sono questi i risultati di una politica di espansione dei vigneti sconsiderata, accoppiata al rafforzamento della valuta dovuto alla bolla speculativa delle materie prime (di cui l’Australia è forte esportatore) e, bisogna dirlo, a un deciso cambio di gusti nel mondo del vino, che da vini morbidi/alcolici si sta spostando su nuove categorie (è una moda, ma questa è). Così, anche l’Australia ha cominciato a espiantare vigneti. Dal record di 157mila ettari in produzione siamo passati nel 2013 a 133mila e i numeri di cui sopra lasciano intendere ci sia altro da fare. Passiamo ai numeri.

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Le esportazioni di vino nel mondo – aggiornamento primo semestre 2014

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E’ decisamente ora di fare il punto della situazione sulle esportazioni, che per il primo semestre 2014 sono leggermente scese (-3%) quando guardiamo i dati dei 7 principali paesi esportatori che abbiamo raccolto e tradotto in Euro. Il numero preciso è 9.1 miliardi di euro contro 9.3, per Francia, Italia, Spagna, Cile, Australia, USA e Argentina. Il campione, giusto per essere preciso con i lettori del blog, è leggermente più ristretto di quello dei dati annuali, quando invece aggiungiamo anche Nuova Zelanda, Sud Africa e talvolta la Germania. Quali sono le novità che trovate in questo post? Due, e un po’ le sapevamo: primo, che l’Italia fa meglio del resto dei paesi. La quota di mercato su questo campione di 7 è salita al 26%, credo il massimo storico. Ovviamente l’obiettivo è raggiunto “resistendo” (+1%) piuttosto che crescendo, ma questo è. L’Italia è un paese che esporta in mercati tradizionali, non “nuovi”, forse ad eccezione della Russia. E proprio questi “nuovi” mercati stanno dando dei grattacapi ai nostri cugini francesi, tra politiche “anti corruzione” e rapporti di cambio impazziti. Secondo, che per la prima volta nella storia (credo) l’Italia esporta più valore che volume, cioè la sua quota parte di valore è superiore a quella del volume. Un misero 0.1% ma di nuovo, è una svolta epocale, che sta gradualmente riportando il nostro paese dove deve e dove può stare: tra quelli che esportano vino di qualità. Andiamo a vedere insieme i dati.
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Treasury Wine Estates – risultati 2013-14

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Nonostante i toni trionfali dei comunicati stampa, i risultati di TWE sono stati parecchio brutti, con utili in calo a causa dell’inversione di tendenza nei mercati Asiatici, e in Cina in particolare, e la crescente difficioltà nel mercato locale. E pensare che per la prima volta da qualche anno il cambio del dollaro australiano aveva giocato a favore. Inoltre, da ormai qualche anno, TWE ci ha abituati a buttare in bilancio qualche perdita derivante dalla svalutazione degli attivi.

Perchè i toni trionfali? Certamente lo scenario di fondo migliora, dato che a forza di dare cattive notizie ormai l’azienda è a posto. Inoltre, il dollaro australiano sta perdendo finalmente terreno, dando respiro alle esportazioni. Infine, la società ha soldi (o meglio, molto poco debito), talchè può permettersi di comprare nuove aziende. E proprio questa sembra essere la strategia del management di TWE per togliersi dalla morsa di fondi di private equity. Se questi dovessero impadronirsi di TWE, ci si può aspettare un veloce rilancio a colpi di marketing, qualche dismissione per finanziare il costo dell’acquisizione, per rigettare TWE nel mercato di borsa, dopo averla masticata e spolpata per bene… ma andiamo a leggere insieme i numeri.

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