Dati Mediobanca


I risultati 2015 delle aziende produttrici di spumante – rapporto Mediobanca

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Sappiamo tutti quanto i produttori di spumanti stanno cercando di “de-festeggiare” il prodotto per aumentargli le opportunità di consumo. I dati che presentiamo oggi però sono “da brindisi”. Stiamo parlando dei dati finanziari aggregati delle 31 principali aziende produttrici di spumante, che sono isolate dal rapporto Mediobanca. I dati sono purtroppo relativi al 2015 (l’aggiornamento 2016 sarà disponibile solo ad aprile 2017), ma rendono l’idea della crescente divaricazione tra i risultati del settore in generale e quelli del segmento. Se fino al 2012-2013 i risultati erano in qualche modo sovrapponibili (vista la forte esposizione del segmento al mercato italiano fino a quel momento), dal 2014 le cose sono cambiate, grazie a un contributo ben più importante delle esportazioni. Due o tre dati. Nel 2015 il ritorno sul capitale delle aziende spumantistiche supera il 10% contro la media del 7% del settore (9% se escludiamo le cooperative); fatto 100 il fatturato 2008, nel 2016 (il fatturato è “avanti” di un anno rispetto agli altri dati) queste aziende sono a 162 contro il settore a 141. Un successo peraltro destinato a continuare, vista la forte crescita del 2016, e del 2017, delle esportazioni (ma anche i dati comunque buoni in Italia), anche se bisognerà valutare in che modo il forte incremento dei costi delle materie prime nel comparto del Prosecco impatterà i risultati finanziari. Ma per ora focalizziamoci sull’analisi di questi dati.

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Settore vino contro settore bevande – dati Mediobanca 2016

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L’analisi del settore bevande e il confronto con il settore vino sono elaborazioni che fanno leva sul lavoro di Mediobanca Research, che ogni anno pubblica due analisi: un rapporto che mostra i dati cumulati delle 2500 maggiori aziende italiane per settore e, con la stessa metodologia, quello delle principali aziende vinicole, qui analizzato ogni anno in primavera. Oggi analizziamo l’andamento fino al 2016 del settore bevande (oltre 10 miliardi di vendite nel 2016) e al 2015 del settore vino (circa 6.5 miliardi). Il quadro mi sembra piuttosto chiaro: le aziende vinicole (soprattutto escludendo le cooperative) hanno mostrato progressi importanti negli ultimi 2-3 anni, che hanno consentito chiudere il gap con il settore bevande allargato, soprattutto in termini di ritorno sul capitale. Le aziende vinicole restano leggermente più indebitate (ma anche più profittevoli), data la maggiore intensità di capitale. Il primo grafico vi mostra invece l’aspetto più positivo, che è il dinamismo commercial del nostro settore vino, determinato anche dalla maggiore propensione all’export (oltre il 50% delle vendite contro il 39% del settore). Andiamo ad analizzare insieme qualche numero.
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Indebitamento e leva delle principali aziende vinicole – dati 2016, MBRes

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Chiudiamo oggi la serie dei post sui dati Mediobanca Research con l’analisi della leva finanziaria delle aziende vinicole italiane. I dati si riferiscono al debito lordo, quindi possono differire da quelli che leggete nei post singoli sulle aziende, dove da questo numero qui pubblicato viene dedotta la liquidità per arrivare a una “posizione finanziaria netta”. La seconda avvertenza è relativa al tema delle cooperative, che possono in genere sopportare livelli di indebitamento più sostenuti vista la differente natura del rapporto con i soci e la loro struttura. I dati che presentiamo oggi mostrano un sostanziale miglioramento delle condizioni finanziarie delle principali aziende vinicole nel 2016. Come abbiamo già letto gli utili stanno crescendo e non essendoci state grandi operazioni di acquisizione o investimento, i rapporti tra il debito e il patrimonio e tra il debito e il valore aggiunto (purtroppo MBRES non fornisce il fatidico MOL o EBITDA sul quale si calcola normalmente il rapport con il debito…) sono migliorati. Sull’aggregato delle aziende qui elencate passiamo da 0.61 a 0.59 per il rapporto debito su patrimonio e da 1.71 a 1.68 per quanto riguarda il debito su valore aggiunto. Ancora, e lo scrivo per la terza volta, miglioramento ma leggermente meno marcato di quanto non fosse stato negli anni precedenti. Per quanto riguarda i livelli di indebitamento azienda per azienda, poco cambia rispetto agli scorsi anni; si aggrava la situazione di Gancia, mentre tutte le principali aziende mostrano un calo del debito in valore assoluto. Passiamo ai dati.

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Utili, margini e ritorno sul capitale delle principali aziende vinicole – 2016 dati MBRes

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Eccoci al secondo appuntamento con l’analisi dei ranking Mediobanca Research. Oggi ci occupiamo di utili, ritorni sul capitale e margini. Le considerazioni generali sono simili a quelle fatte la scorsa settimana: il 2016 è stato un anno di “moderazione” dei tassi di crescita e dei ritorni dell’attività vinicola, coinciso con la stabilizzazione del dollaro e con il recupero dalla fase più critica del mercato italiano. La crescita del valore aggiunto è stata del 5% contro il +10% del 2015, quella dell’utile operativo aggregato delle aziende qui rappresentate del 9% contro il 12% del 2015 (e anche del 2014). Ne risulta un miglioramento ulteriore del margine operativo, dal 7% al 7.2%, ma a un ritmo gradualmente decrescente rispetto a quello che avevamo notato in passato. Antinori, Santa Margherita e Frescobaldi restano le tre aziende chiave in termini di utili nel panorama italiano, caratterizzate da un percorso costante di crescita. Sotto questi tre operatori, ci sono una serie di aziende con utili elevati ma piuttosto altalenanti. L’analisi del ritorno sul capitale investito premia invece le aziende del Nord Est, con Villa Sandi, Santa Margherita e Botter che mostrano dei ritorni sul capitale molto elevati rispetto alla media del settore. Passiamo all’analisi dei dati.

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Classifica fatturato e valore aggiunto delle aziende vinicole italiane 2016 – fonte: Mediobanca

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Vi presento oggi l’elaborazione dei dati pubblicati da MBRes sulle principali aziende italiane, dalle quali ho estratto quelli del settore vino, con qualche dovuta aggiunta per completare il quadro. Che cosa ci dicono questi dati? Come abbiamo visto nelle varie recensioni pubblicate durante l’anno, il 2016 è stato un anno positivo per gli operatori italiani, anche se non tanto quanto l’anno precedente. Il fatturato “aggregato” di queste 29 società delle quali potete consultare i dati è stato di 3.9 miliardi, il 5.4% in più del 2015, che invece, riparametrando i dati sul campione aggiornato, era cresciuto dell’8%. I dati sul valore aggiunto, che come ben sapete rappresentano a mio avviso il vero indicatore dell’evoluzione delle aziende e della loro rappresentatività, è cresciuto alla stessa velocità, +4.7% (da 765 milioni a 801 milioni), una velocità dimezzata rispetto al balzo del 10% registrato dal campione nel 2015, che si spiega in parte per il mancato beneficio della rivalutazione dell’euro nel corso dell’anno. Il leader in termini di fatturato resta sempre GIV, con 365 milioni di vendite, che unito alla controllante Cantine Riunite/CIV, raggiunge 578 milioni di euro, precedendo Caviro e Antinori. Quest’ultima, in realtà, è la vera azienda leader italiana, dato che dai 220 milioni di fatturato estrae ben 138 milioni di valore aggiunto, contro 98 milioni del conglomerato CR/CIV/GIV. La progressione di Antinori, che potete apprezzare dai grafici che sono qui allegati è impressionante: Stiamo parlando di una crescita dell’11% nel valore aggiunto 2016 e del 10% medio annuo dal 2011 a questa parte. La vera novità di questi numeri è quella di Santa Margherita, della quale potete apprezzare il balzo del valore aggiunto (+74%) derivante dalla acquisizione dell’importatore americano. In questo modo Santa Margherita diventa la terza forza del settore in Italia e, con le recenti acquisizioni, probabilmente continuerà a mostrare progressi importanti. Un’ultima considerazione, prima di passare ai dati di dettaglio: questa classifica vede sempre gli stessi attori da quando la redigo. Significa che non c’è stata nessuna vera grande operazione di trasformazione, soprattutto nel mondo non cooperativo, in tutti questi anni. Molte piccole acquisizioni, ma nessuna di queste aziende ha mangiato una delle altre. Si ripropone il solito problema italiano che ho affrontato nella recente newsletter (a proposito, iscrivetevi mandandomi una email), e cioè che in Italia tutti stanno bene a casa propria. E questo è tanto più vero in un mondo come quello del vino fatto di grandi ricchezze patrimoniali. Dopo il lungo preambolo, passiamo ai dati.

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