Il rapporto Mediobanca è talvolta ripetitivo però ha il merito di essere molto costante e di aggiungere ogni anno un pezzetto nuovo. Quest’anno (quindi con i dati 2010) c’è il primo tentativo di dare qualche dato aziendale cumulativo per regione, per far capire in quale modo la struttura produttiva del vino si è evoluta. I dati che sono qui allegati sono molto interessanti, e ci consentono di identificare la forte impronta delle cooperative in regioni come il Trentino Alto Adige e Emilia Romagna (margini e ritorni sul capitale bassi), l’attenzione all’impiego al capitale delle aziende venete e la forte integrazione verticale delle aziende toscane (margini largamente più elevati di tutti gli altri nel campione, presumibilmente grazie a Antinori e Frescobaldi). I dati si spingono anche a misurare il costo medio per dipendente, da cui si evince che i meglio pagati sono i siciliani, seguiti dai dipendenti delle aziende venete, dove però si realizzano anche i livelli più elevati di valore aggiunto per dipendente. Invece di proporvi le solite sbarre, oggi vi introduco a questo grafico che cerca di misurare come la regione si pone su un certo parametro (a destra quelli dove bisogna stare alti, a sinistra quelli dove bisognerebbe stare bassi, tipo il debito) rispetto alla media del campione Mediobanca.
- Le aziende toscane dicevamo avere un bassissimo rigiro del capitale e un altissimo margine: segno che sono molto integrate verticalmente, cioè producono anche l’uva attraverso vigneti di proprietà. Capitale investito molto alto, alla fine un buon ritorno sul capitale, vicino all’8% per un anno come il 2010.
- Le aziende venete sono invece molto più attente all’impiego di capitale, hanno margini mediamente simili al campione nazionale e un ritorno sul capitale più elevato di tutti gli altri, intorno al 9%.
- I dati di Emilia Romagna, Trentino, Marche, Sicilia e parzialmente Piemonte sono di più difficile lettura. Margini e ritorni sul capitale lasciano intendere un “inquinamento” significativo di dati relativi alle cooperative.
- La quota di export è massima nel nord-est e in Toscana e discretamente alta in Piemonte. Invece Sicilia, Marche e Emilia Romagna non esportano più del 30% del fatturato, nonostante stiamo parlando di aziende di una certa dimensione. Questo ci porta a considerare che la geografica regionale delle esportazioni di vino sia piuttosto variegata, legata essenzialmente alle eccellenze con invece una larga fetta di produzione che rimane legata al mercato domestico.
- Le aziende toscane sono anche quelle che destinano meno del loro valore aggiunto a remunerare il personale (38%), contro il 52% dell’industria nazionale e una percentuale molto elevate delle aziende marchigiane o emiliane (oltre il 60%).
- Tutto sommato, questi dati, per quanto volatili e per quanto parziali, mettono in luce quanto lavoro ci sia ancora da fare nel settore del vino italiano per “ristrutturarlo” e portarlo a livelli di efficienza tali da poter remunerare il capitale investito, siano esse cooperative o aziende con scopo di lucro. Vi lascio ai dati.