Il 2015 di Santa Margherita è un anno di transizione, in cui è stata fatta l’importante scelta strategica di distribuire direttamente in USA e il cui costo di avviamento ha fortemente influenzato i margini aziendali. E’ anche un anno strano: il primo dalla crisi del 2009 in cui le vendite estere crescono meno di quelle italiane. Intendiamoci: sono le vendite italiane che sono andate molto bene.
Il bilancio che ne risulta ha un un profilo di crescita delle vendite coerente con gli anni passati (+7%, il salto sarà nel 2016, incamerando fatturato e margine americano), mentre utili e margini sono stati come dicevamo influenzati dall’operazione in USA. In particolare, la distribuzione è stata avviata nel 2015 soltanto per i brand secondari, mentre le vendite di Santa Margherita sono iniziate solo nel 2016, ma non i costi della struttura a questo scopo dedicata. Detto questo, nel 2015 i margini di profitto e il ritorno sul capitale si sono attestati su un livello leggermente inferiore agli anni precedenti ancorchè soddisfacente (e giudicato in modo positivo dall’azienda), anche provvedendo ai necessari aggiustamenti. Passiamo a discutere qualche numero insieme.
- Le vendite sono cresciute del 7.3% a 118 milioni di euro. Il fatturato italiano cresce del 7.6% a 43 milioni (nostra stima), mentre le esportazioni sono a quota 74 milioni, +6.6%.
- Guardando ai principali marchi, Santa Margherita ha avuto un andamento meno positivo nel 2015, con una crescita del 4.5% dei prodotti finiti (+2.9% in volume), con esportazioni in crescita del 4.2% (sono l’80% del fatturato del marchio) e vendite in Italia a +6%. Ca’ del Bosco è invece in crescita del 10% a 31 milioni di euro, mentre la tenuta in Toscana di Lamole è cresciuta del 9% a 4.4 milioni di euro.
- I margini come potete vedere dalla tabella si possono leggere in due modi: come riportato, con le perdite americane di circa 5 milioni di euro a livello operativo e 3 milioni di euro a livello di utile netto (tenendo quindi conto dell’effetto fiscale), oppure senza. Prendendo i numeri rettificati l’utile operativo cresce del 2% e l’utile netto del 5% a fronte di vendite a +7%. Ora, vero è che bisognerebbe anche togliere qualche milione dalle vendite, ma anche facendolo il quadro sarebbe di margini in leggera flessione rispetto al 2015. Se invece guardiamo i dati come riportati, l’utile operativo cala del 21% e l’utile netto fa -19%.
- Passando alla parte finanziaria, l’indebitamento netto cresce da 50 a 60 milioni di euro (2.4 volte l’EBITDA rispetto a 1.7 volte del 2014). Dentor questa crescita ci sono dividendi per 12.5 milioni di euro, senza i quali il debito sarebbe leggermente sceso. Anche se gli investimenti consolidati non sono dichiarati, anche nel 2015 sono cresciute le immobilizzazioni materiali di circa 3 milioni, il che lascerebbe intendere 9 milioni di euro di investimenti.
- Il ritorno sul capitale ci pone di nuovo di fronte alla questione delle rettifiche. Non rettificando il ritorno sul capitale investito scende al 14%, mentre aggiustando l’utile operativo si passa al 18%, quindi un livello marginalmente inferiore a quello del 2014, a fronte di un incremento del capitale investito che ha superato quota 130 milioni di euro. La decisione di distribuire tutto l’utile ha poi determinato la stabilità del patrimonio netto e la conseguente leggera crescita del ROE (aggiustato) dal 25% al 27%.
Analisi interessante. Il dato complessivo mi torna ma sull’Estero sarebbe utile una spaccatura per distretto. Se infatti il business di Terlato (ultimo anno di contratto in USA) fosse stato flat – il che sarebbe n’assunzione di buon senso a fine contratto – questo avrebbe influenzato negativamente l’andamento complessivo dell’Export, il che mi sembra poco verosimile in quanto l’Export al netto di Terlato mi risulta essere cresciuto del 20,3%. Una piccola integrazione darebbe chiarezza. Grazie!