L’argomento delle vendite online di vino qui affrontato ad aprile 2015 è senza dubbio il post più commentato del blog. Le opinioni espresse, talvolta colorite, hanno suscitato però l’interesse ad andare a fondo nell’analisi che ha portato a questa “seconda puntata”, resa possibile dal contributo di uno di questi operatori che ha fornito la maggior parte dei bilanci qui rappresentati ma anche dalla pronta risposta a qualche domanda che avevo in serbo da parte di altri. La classifica non è certamente esaustiva (qui rappresentiamo 8 aziende oltre a IWB); dovrebbe essere riempita di note di spiegazione e sono sicuro che ci sarà qualche enoteca online che non è rappresentata: per piacere fatemelo sapere in modo da poter essere inclusi nel prossimo giro! Per adesso però va bene, perché i dati nascondono una serie di considerazioni sulla particolarità di questo canale che susciteranno certamente l’interesse dei lettori e dei diretti rappresentati.[wp_bannerize group=”ADSENSE”]
Il leader italiano di questo segmento di mercato resta Giordano/IWB con un fatturato di 5.6 milioni di euro (che però non è cresciuto nel 2015), seguito da eboox (Tannico) con 4.8 milioni di euro, di cui circa 3.3 milioni sono riferiti a Tannico e a Xtrawine con 3.2 milioni di euro di fatturato, che escludono però circa 0.7 milioni di euro generati dalla controllata di Hong Kong nel mercato locale. Rigirando i numeri probabilmente Xtrawine sarebbe davanti a Tannico, che per altro verso ha appena annunciato un rilevante aumento di capitale (EUR3.8 milioni) per continuare l’espansione fuori dai confini italiani. Il quarto operatore nazionale dovrebbe essere Callmewine, con 2.5 milioni di vendite, poi Soundtaste con 1.9 e Vinitop con 1.7 milioni.
Passiamo all’analisi dettagliata.
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- Tutti questi operatori salvo Giordano mostrano una crescita molto importante delle vendite, dal 22% di Soundtaste al raddoppio di eboox/Tannico e Vinitaly Wine Club, per un incremento medio del fatturato del 40% circa, che sembra essersi mantenuto anche nel corso del 2016 per qualcuno di questi operatori (anche se il periodo critico deve ancora arrivare!).
- I margini sul venduto sono forse la parte più interessante. Ho cercato di calcolare il “gross margin”, cioè la differenza tra le vendite e il costo del venduto, che in media nel 2014 e 2015 è stato tra il 23% e il 25%. Tale livello è chiaramente inferiore a quello riscontrabile nel canale offline, il che determina, in linea di massima, una convenienza all’acquisto online. Vinitaly sembra l’operatore più profittevole, anche se ci sono diversi punti oscuri, come gli elevati costi di servizio rispetto a quelli di acquisto. I due grandi operatori Xtrawine e Tannico sono al 20% e 26% circa, il che in parte è curioso perché Tannico vende molti prodotti con la formula dello sconto, a differenza di Xtrawine, e quindi dovrebbe a rigor di logica mostrare un margine più contenuto. In realtà, facendo un test su alcuni prodotti di “larga disponibilità” (Barbaresco dei Produttori, per dirne uno, o Torrevento Vigna Pedale), non risulta che gli sconti di Tannico conducano a prezzi migliori di quelli degli altri operatori. Il che fa sorgere qualche spunto di riflessione: come consumatore, scoprire questa particolarità mi lascia un po’ indispettito, dato che compro un prodotto pensando di avere una grossa convenienza che in realtà non c’è. Come produttore, e questo è un punto importante, non vorrei mai vedere il mio marchio e il mio prodotto affiancato a uno sconto del 30-40%… ma passiamo oltre.
- Come potete vedere dal margine operativo netto, quindi dopo costi per servizi, personale e ammortamenti, quasi nessuno fa soldi. Doyouwine ha un margine del 10% ma non ha personale, quindi c’è da considerare che questa è una remunerazione del lavoro. Tutti gli altri o sono in pareggio, o perdono in modo significativo. A tale proposito va sottolineato che in questa fase dello sviluppo è certamente più importante acquisire massa critica che non sforzarsi per guadagnare il più possibile.
- Ultimo indicatore preso in considerazione è il magazzino, qui a fine anno, rispetto alle vendite. Il magazzino è di fatto il capitale investito di questo tipo di attività dato che normalmente i capannoni sono in affitto, e gli altri cespiti sono abbastanza poco rilevanti nell’ambito dell’attività. Si dovrebbe immaginare che “più magazzino, più disponibilità di prodotti, più margine”. In realtà non si intravede nessuna vera correlazione. A fine anno gli operatori online hanno tra il 15% e il 30% delle vendite dell’anno precedente in magazzino. Unica eccezione eboox/Tannico che ha un magazzino eccezionalmente basso, gestito da algoritmi particolari per limitare le scorte al massimo (ma probabilmente anche una struttura di vendita più orientata alle “flash sales” che non alle vendite continuative di una fascia di prodotti e da accordi con alcuni grandi grossisti del settore).
…ho un piccolo favore da chiedervi. Sempre più persone leggono “I Numeri del Vino”, che pubblica da oltre dieci anni tre analisi ogni settimana sul mondo del vino senza limitazioni o abbonamenti. La pubblicità e le sponsorizzazioni servono per aiutare una missione laica in Perù. Per fare in modo che questo lavoro continui e resti integralmente accessibile, ti chiedo un piccolo aiuto, semplicemente prestando da dovuta attenzione con una visita alle inserzioni e alle sponsorizzazioni presenti nella testata e nella sezione laterale del blog. Grazie. Marco Baccaglio
Aggiungo qui il commento di Alessandro Morichetti, postato su Facebook (“essendo parte in causa mi interessa più parlarne qui che altrove”):
Interessante, Marco Baccaglio. Forse si poteva evidenziare meglio utili/perdite rispetto al fatturato?
Marco Baccaglio risponde:
cerco di rispondere al tuo commento, anche se la risposta è già contenuta nel post su “inumeridelvino” dove vengono evidenziati i margini operativi netti dei diversi operatori. (https://www.inumeridelvino.it/…/2016/10/online-2015-4.jpg)
Come dimostra anche Amazon, che di vendite online ne fa in quantità, oggi la priorità degli operatori ecommerce è e resterà per ancora qualche anno quella di “prendere spazi”, cioè di occupare una migliore posizione (quote di mercato), piuttosto che di lucrare margini di profitto, come commentato nel post.
Questo è il motivo per cui in questo momento trovo sia molto più interessante dare più risalto all’entità delle vendite che non quella degli utili o delle perdite, che peraltro sono riportate sia graficamente che in tabella. Fare utili oggi a discapito della crescita del fatturato potrebbe essere una strategia di corto respiro tale da “far perdere il treno” rispetto ai concorrenti che stanno crescendo di più e guadagnando economie di scala.
Chiudo con una domanda, forse fuori luogo. Perchè questo commento è fatto su Facebook e non su “I numeri del vino”? Dopotutto questo è un contenuto che origina da una proprietà intellettuale de Inumeridelvino e non di Facebook, che certo non ha bisogno ma nemmeno il merito di prendersi questo traffico.
Certo della tua comprensione, trasferisco il tuo commento e la mia risposta su “Inumeridelvino” in modo che chi legge dopo di noi possa essere informato del tuo stimolo e della mia risposta.
Replica di Alessandro Morichetti:
Nessun problema, trasferisci pure ma essendo parte in causa mi interessa più parlarne qui che altrove, in realtà.
Vero cosa dici ma a monte c’è che molti puntano a crescere per poi vendere la baracca perché gli utili da certi meccanismi non usciranno, strutturalmente, MAI. Quindi tutt’altro business, molto contemporaneo purtroppo o per fortuna, probabilmente vincente per qualcuno ma non indifferente per gli altri. Non ultimi i produttori che forniscono vini – spesso -svaccati nei prezzi proprio per trovare clienti. Il Barbaresco della Produttori del Barbaresco che gira a 16,5 euro, praticamente a prezzo di costo, ne è un esempio.
Salve Marco, mi inserisco volentieri nella discussione anche in virtù del fatto che questo post è stato pubblicato proprio mentre stavo analizzando i fattori che contribuiscono all’assottigliamento dei margini nell’e-commerce del vino, un aspetto che può contribuire a spiegare i risultati negativi di quasi tutti gli operatori.
L’idea che mi sono fatto è che, tra tutti questi fattori che vanno ad erodere il margine, il costo di acquisizione del cliente in questa fase è uno dei dazi più pesanti da pagare. Credo però che se gli operatori avranno le spalle abbastanza larghe da sostenere lo sforzo finanziario necessario a coprire le fisiologiche perdite dei primi anni di esercizio, la loro Customer Equity potrebbe rendere le loro aziende se non redditizie, quantomeno appetibili (il che, come giustamente osserva Alessandro Morichetti, potrebbe essere stato il loro obiettivo sin dall’inizio).
Personalmente ammiro sia chi è riuscito a mettere su un piccolo business in profitto, che coloro i quali si sono concentrati sul fatturato e su obiettivi di più lungo termine (ammesso che dietro ci sia davvero una simile visione e non stiano semplicemente bruciando soldi). Non credo però che i due tipi di attività siano minimamente paragonabili.
Grazie del tuo commento Christian e complimenti per il bel sito internet che hai messo in piedi.
Hai ragione a considerare la questione del costo di acquisizione dei clienti, anche se in realta’ quello dovrebbe essere un costo su cui si costruisce una importante economia di scala se i clienti riesci a tenerteli.
Io la vedo cosi’: se vuoi resistere nel lungo termine in questa attivita’ devi per forza di cose crescere il piu’ possibile adesso. Quindi i margini e gli utili, fuori da quello che e’ la corretta remunerazione del lavoro, sono secondari rispetto a prendere nuovi clienti.
Gli stessi clienti che non prendi oggi ti costera’ molto di piu’ prenderli nel futuro.
Marco
Grazie di questa analisi accurata e molto interessante, Marco. Ho letto con interesse sia questo post che quello associato presente su Vinix. Personalmente ci vedo diversi spunti di riflessione.
1) Il modello di Amazono funziona con un Amazon. Ossia con una societa’da 130 mld di fatturato e che gia’ nel 2001 (subito dopo lo scoppio della bolla speculativa internet) era comunque gia’ a 3 mld di fatturato. In Italia, si sa, tutto e’ piu’piccolo. Ma nel caso del vino parliamo al max di 3-4 mln di fatturato per le realta’ piu’grandi. Difficile puntare a dominazione di mercato con margini microscopici stile amazon con questi numeri di fatturato… L’Italia non e’ l’america. Pensare di quotarsi in borsa con un “amazon del vino” ed un fatturato da 100-200 mln di euro secondo me e’ un miraggio. Tra l’altro amazon genera la maggior parte dei suoi utili con l’offerta tecnologica dei Web Services (ulteriore elemento che dovrebbe far riflettere sul cercare di perseguire quel modello nella vendita del vino).
2) A mio giudizio il motivo principale dell’aggressivitá sui prezzi di certi operatori va ricercato nel loro azionariato. Diversi operatori sono supportati da fondi di venture capital. Un fondo investe in 20-30 start up e vuole vedere risultati concreti il prima possibile, in modo da “tagliare” i perdenti e puntare sulle societa’ vincenti. Ecco perché la crescita e’ aggressiva anche se in perdita. La sostenibilita’ nel lungo termine al venture capital interessa meno. L’obiettivo e’quello di uscire dal capitale con un profitto entro qualche anno. Magari vendendo a chi si prendera’ la briga di consolidare il mercato.
3) Un aspetto che i numeri faticano a prendere in considerazione ma che spesso e’ elemento di differenziazione e’ la qualita’ del servizio. Al di la’ dell’aspetto degli sconti piu’ o meno veri riportati nell’articolo, ci sono operatori che vendono vino che non hanno a magazzino e poi lo spediscono dopo 15 giorni (basta leggere i commenti in vari blog post sull’argomento per farsi un’idea in merito). E ci sono operatori che mettono in vendita solo cio’ che hanno, lo inviano in un packaging di qualita’ e consegnano in 24 / 48 ore. Questo secondo tipo di servizio puo’ rappresentare un 10% extra di costi che, inevitabilmente, si tramutano o in margini inferiori o prezzi di vendita mediamente piu’ alti.
Alla fine questo e’ comunque un mercato senza particolari barriere all’ingresso. Quindi entrano ed escono molti operatori. Le strade del successo possono essere le piu’ varie, ma secondo me si ricollegano a due grandi macro categorie: puntare ai volumi a prescindere dai profitti per poter rivendere l’attivita’ sulla base di un fatturato elevato oppure puntare a nicchie piu o meno definite con un livello di servizio piu o meno elevato per creare un’attivita’ sostenibile nel lungo periodo con una clientela fidelizzata. Francamente non credo molto all’argomento della strategia di guadagnare quote di mercato con prezzi bassi per poi dominare il settore e diventare profittevole (magari alzando prezzi e margini una volta raggiunta una certa scala). Questo perche’ l’approccio aggressivo sui prezzi si converte in una clientela molto sensibile ai prezzi e che, nel momento in cui l’enoteca in questione decidera’ di alzarli, facilmente migrera’ verso altri siti con offerte migliori…
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