Masi – risultati 2018

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Nel 2018 Masi è riuscita a riprendere un percorso di crescita delle vendite (+3.4% a cambi costanti) ma ha subito una ulteriore pressione sui margini, visibile soprattutto nei dati del secondo semestre. L’utile netto è stato “salvato” da circa 1.4 milioni di euro di sgravi fiscali, che hanno consentito di chiudere leggermente sopra il 2017, ma a livello operativo i costi promozionali sono presumibilmente di nuovo cresciuti, portando a una ulteriore diluizione dei margini. La quotazione in borsa è comunque stabile, circa il 15% al di sotto del prezzo a cui le azioni sono state introdotte qualche anno orsono; la scarsità degli scambi (dovuta all’esigua percentuale del capitale in mano ai risparmiatori, circa il 20% del totale) rappresenta un ostacolo per gli investitori istituzionali e, in qualche modo, una barriera a forti oscillazioni del prezzo. Gli investimenti proseguono con il nuovo visitor center che dovrebbe contribuire a partire dal 2022, mentre sui mercati internazionali la competizione resta forte. Un nuovo accordo distributivo annunciato dal gruppo in Russia potrebbe portare un contributo il prossimo anno, insieme a uno scenario cambi che sembra essere decisamente meglio del 2018 e all’ampliamento della capacità produttiva che dovrebbe consentire una maggiore integrazione verticale. Passiamo a una breve analisi dei dati.

 

  • Le vendite di Masi sono cresciute del 3.4% a cambi costanti e dell’1.4% a cambi correnti. Il contributo più importante viene dal mercato italiano, +12% a 14 milioni, grazie al rilancio degli spumanti Canevel e alle iniziative “direct-to-consumer” intraprese negli ultimi anni (Canova di Lazise in particolare). L’azienda continua a soffrire sia sui mercati europei, stabili a 27 milioni, che in Nord America, dove il fatturato cala del 4% a 23 milioni, anche a causa dei cambi.
  • Per tipologia di prodotto, crescono del 4% le vendite dei top wines a 16 milioni, mentre cala del 2% il contributo dei premium wines (spinti lo scorso anno dal 50esimo anniversario di Campofiorin). I “classical wines”, che sono i DOC sono cresciuti dell’8% a 16 milioni di euro.
  • Se restringiamo il confronto al secondo semestre che trovate in tabella, le vendite sono state praticamente invariate.
  • I margini calano pesantemente nel secondo semestre, talché l’anno chiude con un EBITDA di 12.3 milioni di euro, -5% e una diluizione del margine dal 20.2% al 18.8%, ben lontani dal 30% di qualche anno fa. A determinare tale andamento sono i costi operativi (e dei costi promozionali in particolare), dato che il margine industriale migliora dal 65.9% al 66.1% del fatturato. Gli investimenti fanno crescere gli ammortamenti e quindi l’utile operativo subisce un’ulteriore diluizione, passando dal 15.8% al 14.2% delle vendite. Come dicevamo, l’utile netto passa da 6.7 (7.0 milioni se aggiustato) a 7.2 milioni (probabilmente meno di 6 milioni una volta dedotti gli 1.4 milioni di riprese fiscali positive che non dovrebbero ripetersi in futuro).
  • La struttura finanziaria resta molto solida. Il debito è stabile a 9 milioni di euro, nonostante un incremento degli investimenti da 3.7 a 5.5 milioni, del dividendo da 2.9 a 3.2 milioni di euro e del magazzino da 48.5 a 50.2 milioni di euro.
  • Con un capitale investito di 136 milioni di euro il ritorno sul capitale nel 2018 scende al 7%, largamente al di sotto dei dati superiori al 10% che l’azienda mostrava fino a qualche anno fa.
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Fondatore e redattore de I numeri del vino. Analista finanziario.

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